La prima attestazione dell’uso del termine counseling risale agli inizi del 1900 negli Stati Uniti dove tale termine indicava un’attività rivolta ai problemi sociali o psicologici. Successivamente, la parola fu usata per definire l’attività di orientamento professionale rivolta ai soldati che rientravano dalla guerra e necessitavano di una ricollocazione nel mondo del lavoro.
Da allora, negli anni a seguire il counseling ha continuato la sua evoluzione fino al 1951, quando Carl R. Rogers, ideatore del modello teorico della psicoterapia centrata sul cliente, usò per la prima volta la parola Counseling per indicare una relazione nella quale il cliente è assistito nelle proprie difficoltà senza rinunciare alla libertà di scelta e alla propria responsabilità.
L’attività di counseling è svolta dal counselor, quale professionista in grado di aiutare il cliente nell’affrontare con maggior efficacia le proprie problematiche. Il suo fine è quello di permettere alla persona una visione realistica di sé e dell’ambiente sociale in cui si trova ed opera, in modo da poter meglio affrontare le scelte relative alla sua professione, al matrimonio, alla gestione dei rapporti interpersonali, etc… con la riduzione al minimo della conflittualità dovuta a fattori soggettivi.
Noi, esseri umani, siamo “attraversati” e in contatto – che lo sappiamo o no – con le immagini archetipali che costituiscono il substrato comune, immenso e rigenerante, della nostra psiche. Tutto il libro “Il Cibo come via, gli Archetipi come guida” è attraversato da personaggi mitici, dalle loro storie e dalla nostra dimensione umana – come anche dalle nostre più “piccole”, ma non per questo meno importanti, storie.
Dentro di noi, dèi e dee ci invitano e ci ostacolano, attraverso i nostri sé interiori, le energie psichiche che costituiscono la nostra personalità cosciente ma non solo. Attraverso la lettura dei loro miti ed una riflessione sui loro aspetti e sulle dinamiche che ripropongono nel loro vissuto, ognuno di noi può fare un viaggio fantastico e, allo stesso tempo, un lavoro su di sè di accettazione ed accoglienza.
Il nostro mondo interiore (e dunque noi) non è infatti in pace come forse ci piacerebbe: alcune parti di noi le accettiamo e le apprezziamo fin da subito, altre invece non le amiamo per tutta la vita, alcune ci fanno paura e tentiamo di soffocarle in mille modi, altre pensiamo addirittura che non ci appartengano minimamente.
Quello che dunque tendiamo a definire “io” è, in realtà quella parte di noi che ci piace, che ci fa sentire sicuri ed esperti… e viviamo con una frizione permanente le altre realtà interiori – quelle che, quando emergono, ci fanno sentire a disagio e ci fanno dire: “ma quello non sono io!”.
Io e “non-io”, sia dentro di noi che nel mondo esterno. Tuttavia, se riuscissimo per un istante a stare con i nostri “non io”, o con quelle parti di noi che ci piacciono meno… percepiremmo che potrebbero avere qualcosa da offrirci, delle risorse, una diversa visione di noi e della realtà che ci circonda. Se ci fermassimo per un momento ad ascoltare quelle vocine che solitamente rinneghiamo, potremmo essere una persona più “ampia”, e vivere con maggiore eleganza e facilità, lasciando semplicemente che la nostra identità si apra ad accogliere, con intelligente compassione, anche quello che ostinatamente vogliamo tenere fuori – anche se a livello più profondo sappiamo che “ha a che fare” con noi.
Tra le diverse metodologie di lavoro che ognuno di noi ha a disposizione per contattare “le sue diverse parti” e far sì che ognuna abbia il suo spazio e possa contribuire con i suoi aspetti integrati alla nostra vita quotidiana, troviamo il Counseling Gastronomico. Attraverso una concezione della cucina come laboratorio alchemico dove gli ingredienti vengono trasformati da materia grezza a nutrimento per il nostro corpo e la nostra anima, “cucinare” è lo strumento attraverso il quale ognuno di noi può agire.
Per quanto ci possa sembrare banale o naturale mangiare e tutto ciò che è connesso a questa azione, se ci fermassimo ogni volta che ci dobbiamo sedere a tavola a sentire veramente ciò di cui abbiamo bisogno, quali cibi sentiamo essere in risonanza con noi, con il nostro corpo e con le nostre emozioni del momento… se ogni volta che vogliamo mangiare ci fermassimo a sentire se siamo affamati di cibo o abbiamo bisogno di altro, se portassimo l’attenzione ogni volta al processo, piuttosto che al solo risultato… bè, allora avremmo un’occasione per almeno 3 volte al giorno di far diventare una routine qualcosa di speciale. Mangiare consapevolmente è infatti un atto di amore verso noi stessi e chi ci circonda… e un modo per imparare ad ascoltarci, a prenderci cura di noi, a scegliere ciò che desideriamo, ad ottimizzare le risorse (di cibo e di tempo!!), ad ampliare le nostre prospettive e cambiare i nostri punti di vista.